Sunday, May 08, 2005
[Redenta Tiria] - "ale' ! ale' ! ajo' !" - la voce , il coro

Cio' che desta piu' profonda impressione nel testo di Salvatore Niffoi e' la capacita' di esprimere la coralita', non solo: la sua capacita' di usarla per scardinare l'inattualita' di un'epoca, la nostra, in cui non siamo piu' avvezzi a far fronte, a vivere il comune se non nella passivita' di un autismo di ritorno. Niffoi, lucido, quasi luciferino, indica una via estrema, postuma, narrando di una comunita' che riesce ad agire-insieme l'impossibile, uno per uno, morte dopo morte, rispondendo di se'.
Pagina dopo pagina, i simboli si susseguono perfetti, suggellando l'affresco dell'epopea di Abacrasta. In mezzo il miracoloso equilibrio di un filo sottile drizzato per tenere insieme l'altezza della tradizione orale omerica (ed e' un'autentica tragedia greca in declinatio sarda la sua) con una galoppata inattuale ed esilerante in tutta l'inemendabile prosaicita' del novecento.
La tecnologia, per esempio, si affaccia grottesca e inessenziale in tutta la propria impotenza a petto della gravitas che si snoda inesorabile nella vicanda narrata.
Su tutto, incruenta e insormontabile, si tende la voce.
Voce che chiama a raccolta innanzi alla morte ogni singolo uomo e donna di Abacrasta. Voce che miete le sue vittime in una levitas paradossale, in cui ognuno va a deporre il proprio fiore, a istoriare la morte collettiva con la cifra del proprio passo, a conchiudere il ritmo perfetto e incalzante delle figure di una danza macabra.
Sullo sfondo, la ferrea speranza di chi all'appello della voce suprema si affida, dicendo sempre si' alla morte, eppero' alla vita.
La minima esitazione di fronte al passo estremo trova sempre un perentorio inno di speranza:
"Ma perche' lo facciamo?"
"Perche' cosi' rinasciamo, tonto!" risponde la sorella maggiore al piu' giovane dei Cambaleddos, avviati tutti e otto alle braccia della sughera dell'altipiano degli Asfodeli.
Il pathos, qui, indossa la maschera piu' tragica, tributando un inno postumo, inaudito alla speranza, l'ultima, la sola che ci dona approdo in un altrove, purchessia, a fugare questo tempo da malevadau.
tartito da ---gallizio
all'epoca delle sughere da ultimo sugo
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