Tuesday, April 19, 2005
Impotere e Potenza (similar & dissimilar)

[comunita’ in-valutabile, monetazione autocrona
potenza esposta e subito dissimulata in celamento
pilota disautomatico, sassofono fluent
moneta che scorre e scompare
in the room the women sleep and scream
telltaling you all of annaryllies
dreaming of Michelangelo gz]
Un occhio senza memoria.
«Perdere la possibilita’ di riconoscere (di identificare) / 2 cose simili / 2 colori, 2 merletti / 2 cappelli, 2 forme qs. / arrivare all’impossibilita’ di / memoria visiva sufficiente / per trasportare da un simile all’altro».
Si tratta di dissimilare i dati. Tutto il macchinario e’ dissimilante.
Dissimilare moneta e non moneta. Il crinale e’ il virus. Nessuna moneta retinica, nessuna analogia, nessuna verosimiglianza monetarda. Differire, anche la regolazione delle poste. Ad libitum, un coup de dés jamais n’abolira l’hasard
«Occorre accecare l’occhio che crede di vedere qualcosa, occorre fare una pittra di cecita’ che getta nella disfatta la sufficienza dell’occhio. Fare un quadro malato».
Moneta malata, vulnerante nella sua inassimilabilita’.
Come produrre qualcosa di in avalable?
Una moneta / moneta falsa?
Moneta altra, alterante: dissimilante entrambe.
«Interpretare e’ futile. Altrettanto voler circoscrivere il vero effetto del Grande Vetro, e dunque il suo vero tenore; il Vetro e’ precisamente fatto per non avere un effetto vero, ne’ vari effetti veri, secondo una logica mono o polivalente, ma degli effetti incontrollabili; ora, il vero non e’ altro che il controllabile, come il falso, mentre Duchamp mira a uno spazio al di la’ dei valori di verita’: impotere e potenza»
Transitare in spazi di metamorfosi dissimilanti.
Dissimigliare la non-lettura, anche
«La posizione di Duchamp e’ affermativa. Egli stesso la indica come “ironismo d’affermazione”. Fingera’ che ogni ironia implica negazione? Ma l’affermazione di cui si tratta non esclude la negazione come fosse il suo contrario; se l’affermazione e’ ironica, e’ che include la separazione, la distanza, il rimpianto e la gelosia: e tutto questo e’ da pensare affermativamente, come potenze. (…)
Dobbiamo immaginare tristezze non meno potenti, raggianti e zelanti della gaiezza.
A Duchamp piacciono le macchine perche’ non hanno gusto ne’ sentimento: per il loro anonimato, che non trattiene, non capitalizza niente delle forzeche veicolano e trasformano, ed elimina la questione dell’autore e dell’autorita’; e gli piacciono perche’ non si ripetono, cosa piu’ strana per gli spiriti segnati dall’equazione meccanica=ripetizione. Niente assimilazione delle cause, ne’ degli effetti.
La sua meccanica e’ dissimilante, non appartiene alle cose del potere, alle politiche, alle tecniche. Ha per effetti non degli esseri riconoscibili e cosi’ consumabili, ma invenzioni singolari, irriconoscibili, che implicano l’esercizio di una facolta’ di astuzia. Tale astuzia non accumula i propri risultati, non e’ la grossolana astuzia della ragione, i cui giri dialettici sarebbero subordinati e sventati anche da un cucciolo, tanto si ripetono coscienziosamente, e che definiscono, si sa, non un labirinto ma piuttosto un impero (quello del capitale, alla fine).
Le macchine astute non sono produttive, non sono definite. Se le si puo’ dire celibi non e’ certo perche’ bisogna abver perso Dio e la sua legge per concepirle e farsi esse stesse: ma e’ anzi in omaggio alla loro inanita’. E si ricordi che le macchine di Duchamp non sono soltanto celibi, ma anche spose».
«Le macchinerie o le invenzioni che si tramano nelle “cervellita’ ” di Duchamp non sono risposte a domande. Le risposte sono il problema delle macchine di potere:
Come permettere a un cliente che le braccia cariche di aprire una porta di supermercato? Cellula fotoelettrica. Come far decollare un aereo di n tonnellate? Feedback in accelerazione sui reattori. Come controllare un’opinione che dispiace ai partiti politici? Televisione. Come fondare, cioe’ autorizzare, la scientificita’ di un discorso? Veracita’ divina, universalita’ a priori.
Le macchine di Duchamp non sono asservite-assertive, ma spontanee-affermative, non conoscono nessuna consecuzione.
(…)
Il potere, compreso il poter-fare, consiste interamente in una potenza che controlla i suoi effetti; l’implicazione e’ l’equivalente logico di tale controllo. Se la potenza posizionale non contiene nessun operatore d’implicazione, gli effetti, quando si produrranno, non soltanto appariranno senza causa, privi di ragione, ma lo saranno veramente.
Quando Duchamp scrive semplicemente “dati [1° la cadta d’acqua; 2° il gas d’illuminazione…]” (come un bambino che si mette a sognare sulla formulazione di un problema di rubinetti che non sa risolvere e che lo immerge nello stupore e nella noia, una sera di ottobre), l’enunciato si trova posto in un istante che costituisce il suo stesso riferimento temporale; e ogni enunciato che si penserebbe derivarne, lungi dall’essere consecutivo, dev’essere preso esso stesso come un nucleo temporale autonomo, come l’istanza di una potenza che da’ campo a un’altra temporalita’. Non si ha dunque successione ne’ simultaneita’, ma autoctonie che non hanno tra loro altra relazione se non casuale, diciamo di diacronia. Niente dell’una passa nell’altra. Ognuna comincia una “storia” che e’ istantanea. Nessuna risponde a o di un’altra, non risolve un problema; che sarebbe sempre, allora, un abuso di potere perche’ costruzione dell’una sull’altra».
Porre una non-moneta autocronica e dissimilante.
Discronie senza memoria, che si esauriscono in punti di fuga casuali dopo aver alimentato una traiettoria incalcolabile / intracciabile / irriproducibile di scambi.
Farsi banda?
Comunque spandersi in valore sottratto.
Come per inavvertenza:
Moneta “Ritardo (o anticipo, macchinazionando) su vetro” o su banda.
liberamente dissimiliato da ---gallizio
su tracce palpabili di Lyotard-Duchamp