Wednesday, March 02, 2005
Ci sono porte in campo oltre le due con le reti?

Ci sono porte in campo oltre le due con le reti?
Dite no? Dite, chi?, voi che subito vi fate fretta a rispondere.
Dico si', ci sono porte. Porte che vanno a vento come vocazioni.
Per la danza, per esempio. Piroettano sullo spigolo di un loro
angolo retto, poi sbattono a terra goffamente come ogni iniziazione,
gonfia di pianto e senso della fine: quel senso di sfiducia promettente.
Soccorse, tirandole su per la maniglia, queste porte s’aprono, la faccia interna
e' imbottita d’erba, insonorizzata come una collina primaverile
che aspetta i silenziosi fiorellini. Appare lo sprofondo,
appare il nero, e forse qualche primo gradino muschiato.
Nell’orrido, cauta, una chiesa, come quelle portatili di Giotto,
entra traballando per vederci chiaro; non ha sulla cupola
una candela tremula ma nastri, pistagne, fasci di luce infiocchettati
da un maestro della fotografia; li scioglie e li sfoggia intorno,
li spande radenti sul prato in bell’effetto, poi li cala nella botola
come gli spaghetti nella pentola; sparisce dentro il vortice
della prima mestolata; la porta si chiude.
Per noi significa una manovra un po’ insistita in mezzo a tre,
poi quattro avversari, e palla persa.
Ci sono porte in campo. Altre ci sbattono addosso
come se dall’altra parte le aprisse un cinese.
A volte è gioco pericoloso, il loro: punizione per noi;
a volte è ostruzione, la nostra: punizione per loro.
Dipende dall’arbitro.
Anche l’arbitro gioca la sua partita.
Scende in campo come essere soprannaturale,
e ne esce come essere umano, limitato, solitario.
Questo e' eccitante: vederlo dirigere ambiguamente.
Con noi sbaglia contro, con l’avversario a favore.
Guai se così non fosse, penso all’impeccabile direzione orchestrale,
imparziale con tutti. Ma niente e' introverso quanto l’ascolto della musica,
chiuso come la musica stessa, che è un segreto patetico, imperfetto e scomposto,
quindi intimo. A che serve la musica? A questo: a risvegliare,
come un vanto in te, i tuoi segreti, dei quali, senza musica,
ti vergogneresti soffocandoli. Anzi, nemmeno li conosceresti
se non per quella musica che li precede, e sempre si rivolge a platee sgombre,
a uno solo. La musica è attrito tra due taciturni.
Oppure fate come vi pare, ammassatevi nel disprezzo di voi stessi,
ponete il limite dell’ottima esecuzione al godimento del vostro segreto,
ponete come limite il vostro vicino concorde, anzi siate il vostro vicino
che a sua volta pende, come un metronomo, ora a esser voi da un lato,
ora l’altro dall’altro; e' tutto un tic tac.
Cosi' e': di tra il pubblico ognuno e' chi gli e' vicino, e' uno e trino,
anzi, con quelli davanti e dietro puo' arrivare a cinque.
Contenti voi, che poi uscendo discettate pure,
fiumana umana di chiacchiere, voi che avete di che dire,
come chi non abbia veramente sentito niente.
Con l’insensibilita' di chi ha un’opinione, ognuno ha le sue uscite dalle porte.
Porte in campo. Io devo farci entrar la palla e,
intanto che voi siete competenti, ho fatto tutto un mio balletto,
me lo sono fatto sotto con i piedi: con la punta ho fomentato,
vezzeggiandola, la palla, poco poco come se la punta
fosse il tenero del pollice ed essa palla il mento, l’ho toccata.
L’ho spinta come se, un poco allontanandola, le significassi
quanto sono attratto, l’ho spinta a un inganno.
L’avversario non sa, crede a uno sbaglio, la vede già sua,
ma intanto e' in controtempo, disfa la sua manovra e ne compie un’altra
come se, in mare, si fosse spostata la luna a suo favore;
sta andando in barca. Io con l’esterno destro
carezzo come col dorso di un piede da scimmia questa guancia che rotola
e un poco la trascino fuori dell’orbita, ed essa, quasi avesse un collo,
lo flette e accondiscende. Poi col sotto della suola, come uno gnocco,
con tre tocchi la richiamo a me; col sotto della punta la spingo alle mie spalle,
viro, mi giro, sento lo sfiocco delle vele, vado.
E non e' finita, ci sono ancora ondate, cavalloni, leviatani, calamari grandi
che con le loro sciarpe mi impigliano le gambe, ce n’e' da perderla e ritrovarla,
passarla e forse ancora riceverla questa palla, a volte color crema
o arancione, a strisce o con i cerchi gialli e blu, argentata,
ma che per me è sempre bianca come la balena.
Pasquale Panella sul Foglio del 16 febbraio
tartito da ---galizio
nell'era che porta consiglio