Thursday, January 13, 2005
L'attore necessario

L’attore di teatro è destinato a scomparire, soffocato da una società dello spettacolo che punta tutto sull’immagine. Accantonata l’idea dell’attore come portatore di verità, anche crudeli, tipica del miglior teatro novecentesco, se vuole ancora avere diritto di esistenza, l’attore di teatro contemporaneo deve fare propri gli stilemi recitativi della televisione e del cinema. Oppure deve farsi protesi di un “sistema della moda” che gli impone di essere divertente o narrativo, il più possibile lineare, senza troppo turbare l’ascolto, e sempre incanalando la sua creatività verso modalità che ne limitano fortemente il potenziale espressivo. Questo dato di fatto fa impazzire. È come se il teatro snaturasse se stesso per adeguarsi ai tempi. Attore oggi vuol dire: corpo piacevole, messo in mostra ben rifinito, imitando caratteri umani, tramite di pensieri superficiali, banali, nei limiti di un senso comune tendente al ribasso; vuol dire: illusione di sentirsi liberi di esprimere, esprimendo in realtà nient’altro che l’ordine del denaro. La fine dell’attore come essere teatrale, dunque come corpo insieme gratuito e terrifico, coincide così con l’affermazione di una giostra dei divertimenti che non distingue più tra umano e macchina, che lo rende aderente ad una esposizione tranquillizzante, da narcotico serale. Viene simulata una realtà pacificata che non esiste e che, nel tacere il crudele dell’umano, esalta il simulacro della macchina. L’attore è liquidato, e con esso il teatro. Per recuperare il teatro a se stesso, allora, c’è bisogno di un nuovo modo di essere attore. Ma parlare di un attore necessario, al di fuori del teatro costituito, oggi non può che dare luogo a disagio, perché costringe alla solitudine. Eppure, all’interno di un contesto ormai in decadenza, e se non si vuole a questo soccombere, si deve opporre resistenza: si deve cioè continuare a cercare l’essenza del teatro, che è l’attore; e si deve agire il gesto, la voce, il movimento, in una parola la recitazione, dispiegandola come sintomo dell’orrore del mondo e sempre al di là dello spettacolo odierno. Chi crede che il teatro possa ancora aprire interrogativi nuovi, non deve smettere di spingere la recitazione oltre le convenzioni che la rendono quanto mai bloccata; oltrepassare il limite è già aprire spazi di libertà. È in questo senso che ho elaborato una pièce sull’opera letteraria di Samuel Beckett; pièce che è prima di tutto uno studio sull’arte dell’attore, oltre che un tributo alla scrittura non accomodante dell’autore irlandese. La pièce diventa, in tal modo, una sorta di concerto assurdo e crudele, in cui l’attore, recuperando la resistenza che i personaggi beckettiani oppongono all’incomunicabilità e al decadimento, si pone al limite del teatro, tenda al “canto”, al suono dissonante, alla lacuna del silenzio.
Samuel Beckett, forse
Studio per un attore necessario
Giovedì 9 dicembre 2004, Teatro Camploy, Verona
nevio gàmbula
non postato da ---gallizio
nell'era della gambula sifula e sifilitica