Thursday, December 02, 2004
La sopravvivenza dei papiri

«La innovazione più significativa, che forse finì col togliere valore alla antinomia filologia/storia e alla discussione che ne era scaturita, fu la percezione che anche la ricostruzione testuale è nella storia, è un prodotto storico, ed è davvero comprensibile solo se collocata in un determinato tempo e dunque relativizzata. Ciò vale per il «metodo», le cui certezze si sono venute incrinando, e vale per la materia stessa su cui la critica si esercita: i testi come tali (e la cultura in cui nacquero) e i testimoni manoscritti(e le culture da cui furono prodotti, e che poi attraversarono). Una tale visione delle cose porta a concludere che storia e filologia coincidono: l' una è nell' altra. Se nondimeno nello studio delle civiltà antiche, dette «classiche», ciò è più agevolmente comprensibile, se ne può ravvisare la causa in questo: che in ultima analisi tutto ciò che di quei mondi ci resta è «testo». Per cui il nostro compito fondamentale è quello di accertare la fondatezza di una tale galassia di testi e porsi ogni volta la domanda: perché e come si è salvato. Il processo di conservazione è esposto notoriamente a forze distruttive. Un elemento così imponderabile è difficilmente quantificabile, ma va sempre tenuto presente. Esso però non deve offuscare in noi la consapevolezza del fatto che le scelte via via compiute da chi ci ha preceduto, da coloro che ben prima di noi si trovarono a fare i conti con la tradizione-matrice dell' «Occidente», hanno obbedito a criteri; i quali hanno contribuito a «condannare» ciò che da quei criteri esorbitava. Un forte correttivo è venuto dalla constatazione che il suolo e il sottosuolo dell' area grandissima su cui si sviluppò l'Ellenismo conservano ancora tracce e frammenti di altri testi (archeologici e, in alcune aree, letterari) provenienti direttamente da quel mondo.
La scoperta, e valorizzazione, di tale fonte indipendente rispetto alla selezione tradizionale (che era consapevolmente orientata) ha innovato o meglio dilatato immensamente l' orizzonte, e dato finalmente corpo e sostanza alla nostra possibilità di immaginare quell' intero che, se conservato, avrebbe dato le vertigini agli studiosi. Ma «intuire» l' intero non può essere procedimento meccanico bensì, ancora una volta, critico, comprensibile con l' aiuto della geografia prima di tutto e della storia. Mentre lastre, frammenti, frustuli di marmo (o piombo) recanti iscrizioni paiono a prima vista diffusi sull' intera area (dal Senatoconsulto sui Pisoni in Ispagna all' editto bilingue di Asoka in Afghanistan, dalle epigrafi di Kaïrouan presso Cartagine alla tavola di Lione), la sopravvivenza dei papiri è legata invece alle peculiarità del suolo di una determinata area, l' Egitto. (...) Senza una profonda conoscenza della storia dell' Egitto tolemaico e poi romano, bizantino e arabo, manovreremmo il materiale «papirologico» alla maniera del celebre lottatore bendato, il quale sferra colpi alla cieca e qualche volta, anche, coglie nel segno. Ma quel materiale pone a sua volta il problema della sua provenienza e della sua natura. Il fatto stesso che sia finito in discariche dove ha svolto per secoli soprattutto il ruolo di concime è un dato della storia della cultura (il declassamento di testi a rifiuti) e della storia sociale (il mutamento di cultura e di livello e stile di vita di interi ceti).
Già al momento in cui quei pezzi di rotolo furono messi in condizione di venir ritrovati (secoli dopo) essi erano materiali che non vivevano più, che erano scartati. La perdita di moltissimo materiale che era sopravvissuto sino alle soglie del XIX secolo è un buon antidoto al nostro inevitabile ottimismo. Commemoriamo a ragion veduta l'acquisizione della cosiddetta Charta Borgiana da parte del cardinale Stefano Borgia nell' anno 1778 (primo papiro greco-egizio approdato in Europa); è bene però sempre ricordare che esso faceva parte di un «lotto» di cinquanta rotoli di papiro, offerti al mercante che, mosso da curiosità, ne comprò uno. Gli altri quarantanove furono bruciati perché ai fellahin, di norma, risultava assai gradito l'odore che quel materiale mescolato al sebbach (sostanza organica in decomposizione) emanava».
Luciano Canfora, Presentazione a Introduzione alla filologia greca , a cura di H.G. Nesselrath e S. Fornaro, ed. Salerno, pagine XIV-978, euro 125
sans papier ---gallizio
during the papir-less era