Sunday, May 08, 2005
effloresce e subfloresce venezia
effloresce e subfloresce Venezia
citta’ che dell’amor rifulge
e fioccano gli intonaci
(come gia’ annoto’ il poeta al terzo cantos)
e pure e’ | memoria umidita’ per tutti i pori, vita
per il fragile che cade, alto
vertigine di fronte a tal bellezza
es laissa cader
(de joi sas alas
i penduli amenti dei noccioli spogli
tra la terra e il cielo
rami e frutta
e vie di acqua
riguarderanno a questo mai?
rimetteranno luogo alla radice antica? a nuovo
penseranno?
e Carlo Scarpa e la Ca’ d’Oro
per la medesima radice
pomifer annus cometae
e un poco clinare
(beneditus qui uenit in nomine domini
e’ morbido manto et veste in oro - ab interiore
S.cti Marci basilicam Venetiae dentro e fuori dai volumi
(alvi e lobi
arpelluci)
dove l’angelo mostra
vuoto il sepolcro in asse
con il trono dello Spirito che raggia
con Maria eretta in asse
con il Cristo assiso convesso
nella conca del catino
«Sorgi, Jerusalem, e sta’ in piedi sull’altura
e guarda verso Oriente»
mentre i piedi lenti sul tappeto pavimento
l’intrecciare dei pavoni, alberi riquadri
in geometria il colore da Murano a Anagni
e ancora a sud.
E pure pietra e’ pane nelle mani
degli artefici provetti
e’ luce canto
e’ carne ch’e’ virata in gioia
umor salato dopo tanta vista
dilatazione e contrazione
e ricomporsi i fili.
E tutto tutto regge
un trionfo a dorso di mulo
(ma troppi troppi occhi inetti al guardo, vaganti)
- come allo scrigno patavino come altrove –
ingredit Jerusalem, soprarco a destra, trans.
come sottarco a manca fa il suo ingresso
dentro la pala d’oro
dentro altare
dentro il cuore del potere di Venezia
non dei dogi parlo, dico |
della gente, di quel popolo minuto
in ea luce
civitas lagunare
cui appartiene piu’ che a tutti
(“S. Marco, el to vangelo gera eterno
e l’Istria [e Zara] la viveva soto l’ala
del to leon, …”)
e xe quelo – dive Marce – xe la zente
el to ciborio istoriao
a cui se svola alta la parola tuva
la tua syntesi primaia
ove fermenti
e ocio, e man, e vose
il verzer de le lose
il chiostro
il colonnato
una sera chiara, un alveo | di silenzio e suono per i figli nostri, e le mani aperte, di terra e di custodia, e il cielo
il tramonto che ci inondo’ a Murano
nei colori dei suoi vetri,
un abbraccio sovrumano, una festa
amerai tu pure Marie [a Basilea], arrossata d’inverno, millenovecentodiciotto, cosi’ viva, Modi’
ci riplasma di grazia
come i tessuti in serpentino e marmi dei cosmati
dove l’asimmetria traluce naturale
dove la regola respira, s’apre
e s’intuisce che e’ giustezza, senso pieno, forma
il bambino malato e la bambina che ride di Medardo, un ritornar di volti un farsi vario per il fragile (che danza)
gentilezza e allegria in prima facie
estendere la grazia di un attimo di pace aedificare
l’architettura e la natura insieme
occhifonti di bellezza, polle
un tesoro che scorre
(rivolse il volto e lo fe’ brillare:
il suo capo raccolto sopra il petto di lui
un procedere di forme dentro il timpano)
aveva ognuno nei dintorni una campagna prospera
e non si danno archi se non chinando
Gianluca Poldi, Quietomoto Giustacqua - (per un poema sulla misura)
tartito da ---gallizio
al tempo delle comete efflorescenti
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